La giovine Italia by Giuseppe Mazzini

La giovine Italia by Giuseppe Mazzini

autore:Giuseppe Mazzini
La lingua: ita
Format: mobi
editore: none
pubblicato: 1902-06-27T23:00:00+00:00


ROMAGNA

Quando ideammo la Giovane Italia, le sorti della Romagna pendevano incerte. La nota presentata alla segreteria di stato di Gregorio XVI, la sera del 21 maggio 1831 assicurava agli stati pontificii riforme che costituissero un'era affatto nuova e felice. -- La corte romana dava invece illusioni e frodi, o minaccie. Ma le popolazioni forti del loro dritto, e d'una promessa europea avevano assunta una attitudine energica e deliberata, che avrebbe fruttato un miglioramento qualunque, se l'intervento d'una forza brutale non avesse troncato a mezzo le speranze autorizzate dalla diplomazia. -- Il popolo dall'impeto d'una rivoluzione caduta era passato ad una opposizione parziale che non varcava i confini di ciò che i gabinetti chiamano legalità. Il Papa esauriva tutte l'arti d'una politica perfida per suscitarlo a moti dichiaratamente rivoluzionarii. -- Ma il popolo s'avvedeva dell'inganno e non si dipartiva da un sistema d'azione lenta e pacifica, ch'escludeva ogni intervento straniero.

Allora, noi avevamo in animo d'esporre in un quadro esatto la condizione di Bologna e della Romagna: i diritti che la espressione del voto comune avea posti in luce: le inchieste fatte, e non contrastate: e le vie che rimanevano alle potenze perché la rivoluzione inevitabile un dí o l'altro scoppiasse meno sanguinosa e irritata dalla intolleranza d'una parte e dalla impazienza dell'altra.

Era un tributo che si pagava per noi ad una illusione di giustizia politica, che non esisteva se non nell'anime nostre. Guardando alla importanza della questione che s'agitava, guardando all'utile che sgorgava innegabilmente da un sistema di concessioni progressive, unico sistema che valesse a indurre una pace che i governi invocavano primi, guardando ai patti giurati, alla promessa sancita da una conferenza di ministri europei, ai principii banditi da una nazione grande a un tempo ed avida di tenere il primato della civiltà, noi cedevamo ad una speranza, ad una lusinga che non fosse spenta ogni generosità nei popoli. -- E però il linguaggio nostro era volto ad ammaestrarli delle condizioni nelle quali era posta una gente insorta per eccesso di tirannide, caduta in fondo per troppa credulità, schernita da quei medesimi, che l'avevano accarezzata di lusinghe mortali. -- Ci travolgeva un errore; e ne abbiamo rimorso; però che siamo a tale di sventura e d'esperienza nel passato che oggimai ogni errore è delitto. Questo errore noi lo scontammo amaramente; e il grido dei nostri fratelli scannati nel nome di Cristo dai soldati del pontefice a Ravenna, a Cesena, a Forlí, ci suona tremendo all'orecchio come un rimprovero. -- La diplomazia europea non vide nei reclami legittimi d'un popolo mille volte deluso che un pretesto all'intervento straniero. Le baionette tedesche ci recarono solenne risposta. -- Quattro potenze dichiararono nulle e intaccate di ribellione le pretese, ch'esse alcuni mesi prima aveano dichiarate giuste e fondate. Quattro potenze diffusero colle loro minaccie il terrore sovra una moltitudine inerme, incerta e divisa -- poi, quando lo stupore ebbe spento anche quel poco entusiasmo suscitato da una contesa civile -- quando l'oro ebbe stillata la seduzione ne' ranghi dei cittadini -- quando il mutamento



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